Oieffur and Mr. Spade

Oieffur e Mr. Spade

Il fumo denso pendeva ancora pesante nell'aria.

Anche se le fiamme si erano ridotte a braci, e le urla si erano spente nel silenzio, il cielo sopra le rovine di Liradale ardeva ancora di un rosso sordo e doloroso. Non era il sole. Il sole era scomparso da tempo dietro una cortina di cenere. Questa luce, invece, emanava da tutto ciò che restava – gli edifici distrutti, i sogni infranti, le persone annientate e i loro destini spezzati.

Nel cuore stesso della città, tra gli scheletri carbonizzati delle torri e i resti frantumati delle chiese, un ragazzo strisciò fuori da sotto una trave crollata. Era piccolo, forse dieci o dodici anni – una figura magra con occhi infossati e arti striati di fuliggine. Una massa arruffata di capelli grigi incorniciava un volto troppo definito per la sua età. Il suo nome era Felix, anche se non riusciva a ricordare che qualcuno l'avesse mai parlata dolcemente.

La sua bocca sapeva di ruggine e cenere. Stracci logori di vestiti a malapena si aggrappavano al suo corpo scheletrico. Un piede era nudo, l'altro avvolto in ciò che un tempo era stato lo scialle di sua madre, ora annerito e spezzato come il mondo intorno a lui.

Non pianse. Le sue lacrime si erano asciugate da tempo.

La guerra era scoppiata senza preavviso. Un giorno, il cielo era azzurro, il mercato brulicava di vita. Il giorno dopo, i cieli si erano squarciati – come se fossero stati schiusi dall'interno – e mostri erano fuoriusciti. Non bestie, né semplici mortali: erano stregoni. I loro mantelli si contorcevano di rune, e il fuoco gocciolava dalle loro labbra. Parlavan in una lingua capace di sciogliere la pietra e lacerare l'aria stessa.

La sua famiglia aveva cercato di fuggire. Non erano andati lontano.

Ricordava suo padre che si curvava sul corpo della sua sorellina, come se carne e ossa potessero proteggerli dalla magia. Ricordava la mano di sua madre strappata dalla sua presa, le dita ancora aggrappate all’aria vuota. Poi – un vuoto. Un muro di luce, un ruggito, un inferno. Un calore infinito e bruciante.

Quando si svegliò sotto la trave, ore o forse giorni dopo, era completamente solo.

Vagava tra le rovine, cercando meccanicamente briciole di pane. Vide altri sopravvissuti – ma solo per un attimo. Non sarebbero durati a lungo. Poi arrivarono i soldati, rovistando tra i morti, recuperando ciò che restava della vita. Felix si nascose dentro un tempio bruciato, osservando dalle ombre. Sapeva di non potersi fidare di stendardi o uniformi. Aveva visto con i propri occhi come la magia potesse dilaniare le persone, e non voleva averne parte.

Il settimo giorno, proprio quando pensava di disintegrarsi semplicemente per fame e polvere, apparve la figura.

Non arrivò a cavallo. Camminava, silenzioso come un sussurro, come un’ombra nel vento, il suo lungo cappotto nero che scivolava dietro di lui come il fantasma di una divinità dimenticata. Indossava guanti e stivali lucidi, e il cappello era calato in basso. La cosa più impressionante era la maschera sul suo volto – una maschera nera, a forma di "Spade" di un mazzo di carte, liscia come l’ossidiana, fredda come il ghiaccio.

Felix lo osservava da lontano, in piedi sopra una fontana distrutta. L’uomo inclinò la testa, come percependo qualcosa, e il suo sguardo si posò esattamente su Felix.

Felix si bloccò. Ogni nervo del suo corpo gli urlava di fuggire.

Eppure, non si mosse. Qualcosa lo tratteneva lì – curiosità? Sfida? O forse quella scintilla testarda della sua anima non si era ancora spenta.

L’uomo gli fece cenno di avvicinarsi.

Felix, per ragioni che non riusciva a comprendere, si avvicinò a lui.

 


 

L’Eredità di Oieffur

L’arrivo dell’Uomo in Nero, Mr. Spade, si dispiegò come un tableau silenzioso ma potente nel caotico e distrutto mondo di Felix. Non parlò, semplicemente tese una mano guantata di pelle nera, con il palmo rivolto verso l’alto, come in invito. Felix esitò; aveva visto troppo inganno e tradimento, eppure gli occhi dietro quella maschera – nonostante fossero nascosti dalla Spade – irradiavano un magnetismo antico e tranquillo. Infine, allungò una mano tremante, le dita fredde sfiorarono la pelle liscia del guanto.

In quel momento, il mondo sembrò trattenere il respiro. Un’energia peculiare si riversò nel corpo di Felix, non uno shock violento, ma una guida lunga e profonda. Sentì una corrente calda diffondersi dal palmo attraverso tutto il suo essere, purificando la sua anima segnata dalla guerra. L’Uomo in Nero lo condusse lontano dalle rovine, attraverso terre dimenticate, finché raggiunsero una valle appartata.

Nel profondo della valle si ergeva un antico e magnifico edificio, non costruito da mani mortali, ma apparentemente cresciuto dalla stessa terra. Ogni pietra brillava di una luce fioca, intrisa di rune misteriose, e l’aria vibrava di un profumo unico – una miscela di erbe, metallo e magia. Questo era Oieffur, il leggendario santuario alchemico che ogni alchimista nel mondo sognava di possedere.

L’Uomo in Nero guidò Felix attraverso un grande portale scolpito con innumerevoli creature meravigliose, conducendolo in una vasta sala. Le pareti della sala erano adornate da una moltitudine di artefatti alchemici, di forme diverse, che spaziavano da intricati gingilli a colossali meccanismi. Ogni oggetto emanava un’aura distinta. Felix rimase stupito nel constatare che questi oggetti non erano semplici oggetti inerti; sembravano possedere vita, sussurrando storie mai raccontate.

"Questa è Oieffur," parlò infine l’Uomo in Nero, con voce profonda e risonante, come da un passato lontano, "ed è ora la tua casa."

Disse a Felix che lui era il precedente Signor Spade. E Oieffur, spiegò, era più di un semplice edificio; era una linea di sangue vivente, un’eredità che poteva essere reclamata solo da chi aveva esperienze uniche, scelto dallo stesso Oieffur. L’alchimia, chiarì, non era solo la fusione di magia e materia; più profondamente, richiedeva i ricordi personali e la comprensione profonda dell’alchimista. Ogni creazione alchemica era l’incarnazione fisica dell’anima dell’alchimista, portando la storia e l’emozione del creatore.

L’infanzia di Felix era stata distrutta dalla magia alchemica, lasciandolo unico sopravvissuto della sua famiglia. Questo trauma indelebile, tuttavia, si rivelò il catalizzatore stesso per la selezione di Oieffur. L’Uomo in Nero, suo mentore, iniziò a insegnargli i segreti dell’alchimia. Felix scoprì che l’alchimia non riguardava semplicemente la sintesi di sostanze, ma la trasformazione di emozioni e ricordi intangibili in forme tangibili. Ogni atto di creazione era un viaggio nelle profondità del proprio essere, una rimodellatura del passato. Cominciò a capire che l’alchimia poteva distruggere e creare, e scelse di usarla per forgiare oggetti che riflettessero il suo mondo interiore.

 


 

Lo Specchio del Desiderio e il Volto della Verità

Durante i suoi anni a Oieffur, Felix si trasformò da ragazzo traumatizzato a maestro alchimista. Ereditò il titolo di "Signor Spade" e, con essa, la prospettiva unica di tutti i precedenti Mr. Spades. Viaggiò per il mondo, raccogliendo materiali rari, ma soprattutto si immerse nelle molteplici sfaccettature dell’esperienza umana, infondendo quei momenti profondi nelle sue creazioni alchemiche. La grande sala di Oieffur si riempì gradualmente delle sue opere, ogni pezzo una cristallizzazione della sua comprensione del mondo.

Tuttavia, fu una visita notturna a rivoluzionare davvero la filosofia alchemica di Felix.

Una notte, una figura snella e gravata bussò alla pesante porta di Oieffur. Era una nobildonna, vestita con abiti funebri sobri, il volto nascosto da un fitto velo, eppure il dolore e il disagio che emanava erano palpabili. La sua voce tremava mentre implorava, "Signor Spade, io… ho bisogno del ‘Specchio del Desiderio’."

Lo Specchio del Desiderio era una delle prime creazioni di Felix, si diceva riflettesse i desideri più profondi e i segreti nascosti del cuore di una persona. Felix la avvertì, "Signora, questo oggetto spoglierà ogni finzione; la verità che rivelerà potrebbe essere più di quanto possiate sopportare."

Il corpo della nobildonna tremava ancora più violentemente, ma il suo sguardo era insolitamente risoluto: "Voglio solo sapere… se mio marito mi amava ancora prima di morire."

Felix si fermò un attimo, poi recuperò l'antico specchio di bronzo da una parte più profonda della sala espositiva. La superficie dello specchio brillava di una luce tenue ed eterea, come se contenesse innumerevoli misteri irrisolti. La nobildonna prese lo specchio, le mani tremanti mentre lo sollevava, gli occhi fissi sul suo riflesso.

Il tempo sembrava essersi fermato. Felix osservava di lato mentre l'espressione della nobildonna passava dall'angoscia iniziale, alla confusione, poi a un sorriso sottilmente inquietante. Fissò a lungo lo Specchio del Desiderio e infine un sorriso particolare sfiorò le sue labbra.

Felix si chiese cosa avesse rivelato lo specchio per suscitare una reazione così complessa.

La nobildonna accarezzò delicatamente la superficie dello specchio, la voce intrisa di un senso di liberazione: "Era il suo volto." Si fermò, gli occhi divennero profondi e complessi. "...Ma erano anche i volti di altri uomini, molti, molti altri."

In quell'istante, il cuore di Felix saltò un battito. Capì. Questa nobildonna non cercava la conferma dell'amore del marito; cercava nello specchio i propri desideri inespressi – e la verità che da tempo non amava più solo suo marito. Lo specchio non l'aveva ingannata; aveva semplicemente riflesso il più crudo, spoglio desideri in profondità nella sua anima.

Da quella notte in poi, la filosofia alchemica di Felix subì una profonda trasformazione. Aveva creduto una volta che il culmine dell'alchimia fosse distillare la verità pura, eliminando ogni falsità. Ma l'esperienza di quella notte gli fece capire che la verità a volte si nasconde nei desideri più primitivi. I nobili potevano fingere sorrisi, i preti potevano confessare, i politici potevano mentire – ma i sospiri e i tremori tra le lenzuola, quelli nati dagli impulsi più fondamentali, non potevano essere falsificati.

"Si può mentire a Dio, ma non si può mentire sulla lussuria."

Questo pensiero lo colpì come un fulmine. Divenne ossessionato dallo studio di "lussuria," credendo fosse la forma più pura della verità umana. Non si limitava più a creare oggetti con vari effetti, ma rivolse il suo sguardo agli impulsi più segreti e primitivi del cuore umano. Credeva che attraverso l'alchimia potesse oggettivare questi "desideri", rivelando così la natura più vera dell'umanità. Ogni nuovo artefatto alchemico diventava un contenitore che portava una storia di desiderio, e Signor Spade era colui che materializzava queste storie – un alchimista che vedeva attraverso gli inganni del mondo, mosso unicamente dalla ricerca della verità primitiva.

Lascia un commento

Tutti i commenti sono moderati prima di essere pubblicati.

Questo sito è protetto da hCaptcha e applica le Norme sulla privacy e i Termini di servizio di hCaptcha.